La produzione dell’olio d’oliva è una pratica conosciuta in tutto il Mediterraneo sin dall’antichità. Nella Terra d’Otranto la pratica di produrre l’olio in frantoi rupestri o ipogei a “grotta”, realizzati nei banchi rocciosi di calcarenite, è nota sin dal Medioevo (XII-XII sec.), ma è con il sopraggiungere dell’Età Moderna, dal Cinquecento in poi, che questi impianti si diffusero pressoché ovunque tant’è che non esiste città, paese o borgo che non ne abbia attestazione. Benché la produzione dell’olio d’oliva sia stata una delle colonne portanti della cultura alimentare mediterranea, a partire dal XVI secolo circa si afferma la produzione dell’olio lampante usato come combustibile e quello della Terra d’Otranto era considerato tra i migliori in commercio. Chiaro e grasso era particolarmente adatto per l’illuminazione di case e di chiese, per fabbricare sapone o impiegato nei lanifici. L’apice della produzione ed esportazione dei questa tipologia di olio si ebbe nel corso del Settecento, tant’è che è attestato che la quantità di olio imbarcato nei porti di Terra d’Otranto toccò cifre abbastanza elevate negli anni che vanno dal 1770 al 1792: il 70% dell’olio era imbarcato nel porto di Gallipoli che divenne una delle più importanti piazze commerciali del cosiddetto “oro liquido” su scala europea. Dal porto gallipolino, secondo le richieste, lo si spediva in altre località italiane come Napoli o Venezia, oppure all’estero verso i lanifici o le tintorie inglesi, verso la Russia e i paesi nordici.
L’olio in grotta
La produzione dell’olio in grotta scaturisce da un semplice principio, ossia in una grotta, grazie alla temperatura annuale costante (che nelle grotte salentine si aggira tra i 18 e i 22 gradi) l’olio ha la giusta vischiosità per essere lavorato e conservato in una condizione ottimale. Nel Salento sono attestate fondamentalmente due tipologie di frantoi: quelli completamenti ipogei “a grotta” frutto di un’arte edile in negativo che procede più per sottrazione che per costruzione; e quelli semi ipogei o “a volta” parzialmente scavati nel banco roccioso e hanno una copertura realizzata costruita in conci di tufo. In base alla collocazione degli ambienti secondari rispetto all’ambiente principale con macina e torchi (questi ultimi attestai per due tipologie: quello a una vite detto “alla genovese” e quello, più diffuso, a doppia vite detto “alla calabrese”), i frantoi ipogei salentini si dividono in diversi sottogruppi: frantoio a corridoio con ambienti distribuiti lungo un unico asse (Monteroni, Giuggianello, Lecce-Borgo S. Ligorio); frantoio a camera con ambienti minori distribuiti in maniera ordinata attorno ad un unico ambiente quadrangolare in cui sono collocati vasca e torchi (Veglie-via Marconi); frantoio a raggiera con ambienti minori disposti a raggiera attorno agli ambienti principali di forma circolare o irregolare (Calimera, Martano, Villa Convento); frantoio articolato con ambienti principali di forma irregolare e ambienti minori disposti in maniera disorganizzata attorno ai primi.
Il lavoro nei frantoi
La produzione dell’olio nei frantoi ipogei avveniva nella parte centrale dell’anno solare; iniziava infatti a ottobre e andava avanti sino a marzo-aprile. A lavorare nei frantoi vi erano squadre di operai, i frantoiani, che erano chiamati a svolgere un lavoro particolarmente difficile per le condizioni di vita che si andavano a creare nei frantoi. Infatti essi, in genere, non si spostavano spesso dal paese in cui avevano trovato lavoro; vivevano praticamente nei frantoi e tornavano a casa solo per la vigilia e la festa della Madonna Immacolata, del Natale e del Capodanno. Per tutto questo periodo, quindi, uomini e animali lavoravano giorno e notte con turni prestabiliti e solo in rare ed eccezionali circostanze potevano allontanarsi dal luogo di lavoro che diventava quindi la loro casa per circa metà anno. La squadra di lavoro composta da frantoiani e animali (essenziali per trasportare carichi e per spingere la macina) era definita ciurma, un termine che richiama il linguaggio marinaresco perché, soprattutto nei paesi prossimi alla costa, molti frantoiani erano pescatori che durante l’estate lavoravano sulle grandi barche mentre durante l’inverno venivano impiegati nei frantoi dove (come sulle barche) si ritrovavano a fare parte di una squadra (la ciurma, appunto). Questa ciurma era guidata da un capo (il nachiru/nocchiero), una figura autoritaria che impartiva ordini, stabiliva i turni di lavoro, sistemava il torchio per la spremitura, raccoglieva l’olio dal pozzo antistante il torchio, tratteneva le offerte che venivano fatte dai clienti ai frantoiani e le ridistribuiva a suo giudizio, benediceva il cibo e dava per primo inizio alla consumazione dei pasti.
I frantoi ipogei di Tuglie
Tuglie vanta la presenza di almeno quindici frantoi tra ipogei e semi ipogei, sparsi al di sotto del centro urbano, molti dei quali collocati lungo quella che viene considerata un’antica arteria stradale che metteva in comunicazione Tuglie con i centri vicini di Parabita e Sannicola. Di questi frantoi ipogei e semi ipogei quasi tutti si trovano inglobati nelle attuali abitazioni e ridotti ormai a cantine. Solo due sono pienamente fruibili, ossia il frantoio Ipogeo di via Trieste, sede del Museo dell’Ulivo, e il frantoio ipogeo “Ex Marulli”, di via Vittorio Veneto, sede del Museo Della Radio.
1- Frantoio ipogeo di via Vittorio Veneto
2- Frantoio ipogeo di via Vittorio Veneto
3- Frantoio semi ipogeo di Via Vittorio Veneto (detto “Ex Marulli”, Museo della Radio)
4- Frantoio ipogeo di Via Vittorio Veneto
5- Frantoio ipogeo di Via Plebiscito
6- Frantoio ipogeo di Piazza Garibaldi (detto frantoio “Ria”, demolito)
7- Frantoio ipogeo, di Piazza Garibaldi
8- Frantoio ipogeo, di Via Trieste (Museo dell’Ulivo)
9- Frantoio ipogeo, di Via Trieste
10- Frantoio ipogeo di Via Trieste
11- Frantoio semi ipogeo di Via S. Antonio
12- Frantoio semi ipogeo di Via Cairoli
13- Frantoio ipogeo di Via Aldo Moro
14 -Frantoio ipogeo di Contrada Mazzucchi (demolito)
15- Frantoio semi ipogeo (detto “Ravenna”)
Per saperne di più:
G. FEDELE, Tuglie. I luoghi e le tradizioni, percorsi storici e culturali, Tuglie 2010.
A. MONTE, L’ antica industria dell’olio. Itinerari di archeologia industriale nel Salento, Lecce 2003.